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Le richieste tedesche e italiane in materia di politica industriale europea


Di seguito riportiamo la lettera congiunta CGIL/DGB, in materia di politica industriale europea, inviata al Vice-Presidente della Commissione Europea Stéphane Séjourné.

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Caro Vicepresidente Séjourné,
Le sfide che l’economia e l’industria europea devono affrontare si sono notevolmente intensificate negli ultimi anni e ancor più negli ultimi mesi. Le crisi geo-politiche, le sfide climatiche, la mancanza di investimenti pubblici e privati, i concorrenti fortemente sovvenzionati che praticano il dumping, l’imprevedibile politica tariffaria degli Stati Uniti, l’incertezza dei costi dell’energia e le catene di approvvigionamento interrotte stanno mettendo a dura prova l’economia europea.

La Confederazione Tedesca dei Sindacati (DGB) e la Confederazione Generale Italina del Lavoro (CGIL), affiliate alla Confederazione Europea dei Sindacati (CES), seguono con grande e urgente interesse le iniziative di politica industriale della Commissione europea. La legge sull’industria a zero emissioni, la legge sulle materie prime e il Clean Industrial Deal (CID) sono particolarmente importanti per preservare la capacità industriale dell’UE e rafforzare la competitività e la resilienza dell’industria europea. Tali iniziative rivestono un’importanza fondamentale anche dal punto di vista sindacale, in quanto garantiscono direttamente posti di lavoro di alta qualità protetti da contratti collettivi. Tuttavia, questi progetti saranno all’altezza del compito solo se saranno adeguatamente finanziati, il che significa investimenti straordinari legati alle condizioni sociali e fondi specifici con strumenti per scongiurare la deindustrializzazione europea e garantire l’occupazione nelle nostre industrie.

Rafforzare la democrazia dentro e fuori i luoghi di lavoro significa rafforzare gli strumenti di governance democratica e di dialogo sociale nei processi di programmazione delle iniziative di politica industriale, con la partecipazione delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali. Questi strumenti e organismi di partecipazione devono servire a definire le aree di investimento e le logiche di sviluppo, e a promuovere il monitoraggio e l’attuazione delle azioni a tutti i livelli europei e nazionali – nei contesti territoriali concreti, nei diversi settori e nelle imprese pubbliche e private.

Riteniamo che sia necessaria una politica industriale europea attiva, che garantisca la creazione del valore industriale, che stabilisca mercati guida verdi e crei prospettive sostenibili per le regioni, i settori e i lavoratori. A questo proposito, facciamo riferimento alle posizioni e alle risoluzioni adottate dal Comitato esecutivo della CES in materia, che sosteniamo con forza. In linea con queste posizioni, chiediamo, quindi, alla nuova Commissione europea di intraprendere azioni rapide e mirate nelle seguenti aree di particolare rilevanza per i sindacati italiani e tedeschi:
 

1. Garantire il finanziamento a lungo termine della trasformazione industriale
Le misure del Clean Industrial Deal non sono state finora sostenute da finanziamenti europei basati sulle necessità. L’attenzione si concentra sulla promozione del capitale privato, sul reindirizzamento dei fondi da altri fondi, come i Fondi di coesione, e su un’agenda di investimenti volontari negli Stati membri, che allo stesso tempo è vincolata dalle norme fiscali europee. Tutto ciò è insufficiente se si considera l’entità delle sfide e delle esigenze di investimento che l’UE deve affrontare. La relazione di Mario Draghi parla di 800 miliardi di euro all’anno per gestire la trasformazione verde e digitale dell’economia europea. Un contributo significativo per colmare questo divario di investimenti dovrà venire dal settore pubblico. La DGB e la CGIL chiedono quindi alla Commissione europea di dimostrarsi all’altezza delle sue pretese di essere la “Commissione per gli investimenti” e di impegnarsi per una riforma del bilancio dell’UE sostenibile e favorevole agli investimenti.

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Ciò richiede un aumento del quadro finanziario pluriennale (QFP) senza alcun taglio. Il Fondo per la competitività proposto dalla Commissione dovrebbe essere finanziato attraverso il debito comune e sostenere la trasformazione dell’industria attraverso investimenti mirati in tecnologie e infrastrutture rilevanti per il futuro. Il Fondo europeo per la competitività e le misure del Clean Industrial Deal in generale non devono andare a scapito della politica di coesione (e delle risorse finanziarie a sua disposizione), ma devono integrarla finanziariamente e strategicamente. Lo sviluppo di nuove risorse proprie dell’UE deve essere inserito nell’agenda politica con priorità, come annunciato dalla Commissione europea.

Inoltre, rifiutiamo il principio del “denaro in cambio di riforme”, ossia l’idea di collegare i fondi UE ai requisiti di riforma strutturale del semestre europeo. Nella prassi corrente dello Strumento di ripresa e resilienza (PNRR), l’erogazione dei fondi UE è soggetta a condizioni di riforma strutturale nei settori della politica pensionistica, dell’istruzione e del mercato del lavoro, che non sono soggette al controllo parlamentare e spesso contraddicono gli obiettivi di politica economica dell’UE, come i principi di crescita economica sostenibile, progresso sociale e piena occupazione sanciti dall’art. 3 del TUE. Questo approccio è antidemocratico e inappropriato e non porta a un uso più efficiente dei finanziamenti dell’UE.
 

2. Riforma delle norme UE sugli aiuti di Stato
Un’offensiva di investimenti puramente europea non è sufficiente. Anche gli Stati membri devono essere messi in condizione di stabilire attivamente le priorità di politica economica. Tuttavia, la flessibilità temporanea della legge sugli aiuti di Stato termina alla fine del 2025, quindi è necessaria una riforma a lungo termine che favorisca la trasformazione e che non preveda limiti di tempo.

Il Quadro per gli aiuti di Stato all’industria pulita (CISAF) proposto dalla Commissione europea è un primo passo nella giusta direzione, in quanto offre una maggiore flessibilità finanziaria per sostenere la trasformazione industriale fino al 2030. Tuttavia, dal punto di vista sindacale, è necessaria una riforma a lungo termine che vada oltre il 2030 per garantire una politica industriale sostenibile e inclusiva. Il quadro dovrebbe integrare criteri chiari come l’importanza strategica per le catene del valore, le considerazioni sullo sviluppo regionale e l’allineamento con gli obiettivi di decarbonizzazione.

Inoltre, senza condizioni vincolanti sulla qualità dei posti di lavoro, c’è il rischio significativo di ripetere gli errori del passato, ovvero di fornire finanziamenti pubblici alle corporazioni senza garantire in cambio un reale beneficio pubblico. Per evitare ciò, è necessario includere una condizionalità sociale obbligatoria. Inoltre, il CISAF dovrebbe essere reso più semplice e flessibile nella sua applicazione. Dovrebbe anche essere ampliato per includere non solo il settore delle tecnologie pulite, ma anche altri settori strategici come quello farmaceutico, delle biotecnologie, dei semiconduttori, dell’intelligenza artificiale, delle infrastrutture digitali e dell’approvvigionamento di materie prime.

È necessaria un’offensiva europea per gli investimenti e un’attenuazione delle regole fiscali dell’UE per tenere conto delle diverse capacità fiscali dei Paesi dell’Unione e per evitare ulteriori fratture tra varie economie.
 

3. Proteggere l’industria europea dalla concorrenza estera a basso costo
Durante l’ultima legislatura, la Commissione UE si è posta l’obiettivo di rafforzare l'”autonomia strategica” e di ridurre l’eccessiva dipendenza da altri singoli Paesi. Allo stesso tempo, la concorrenza straniera si sta facendo strada nel mercato europeo con sovraccapacità e prezzi di dumping, in particolare nei settori della tecnologia pulita. Ciò sta esercitando una forte pressione sulla creazione di valore industriale e sui relativi posti di lavoro. Inoltre, i prodotti stranieri sono generalmente fabbricati con standard sociali e ambientali inferiori. Pertanto, i requisiti di contenuto locale e i criteri di resilienza e di politica occupazionale devono essere ancorati all’assegnazione dei sussidi, alla revisione della direttiva europea sui finanziamenti pubblici, alla prevista legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale o nelle procedure d’asta, al fine di creare condizioni di parità e proteggere l’industria nazionale in alcuni settori.
 

4. Ridurre i prezzi elevati dell’energia
Una delle maggiori minacce alla competitività dell’industria europea sono i prezzi elevati e volatili dell’energia. La DGB e la CGIL accolgono con favore il fatto che la Commissione Europea ha identificato questo problema come una priorità fondamentale e ha definito un Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili come parte del Clean Industrial Deal. Tuttavia, le misure previste non sono sufficienti ad affrontare efficacemente il problema dei prezzi elevati dell’energia. Uno dei principali difetti strutturali rimane inalterato: sebbene il gas rappresenti solo il 14% della produzione di elettricità, continua a determinare il prezzo del mercato all’ingrosso per circa il 40% del tempo. Ciò si traduce in costi dell’elettricità artificialmente gonfiati, che gravano soprattutto sulle industrie ad alta intensità energetica (EII).

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Senza una riforma radicale del mercato dell’energia elettrica, le attuali misure previste dalla CID non riusciranno a fornire l’alleggerimento dei prezzi di cui l’industria ha urgentemente bisogno. Per garantire una base industriale competitiva e resiliente in Europa, è essenziale spingere per ottenere prezzi dell’elettricità affidabili, accessibili e competitivi.

Questo richiede un disaccoppiamento strutturale dei prezzi dell’elettricità dalla volatilità dei mercati del gas, oltre a misure per prevenire profitti ingiustificati nella generazione e nel commercio di elettricità. Inoltre, sebbene la CID promuova la flessibilità della domanda basata sul mercato, questo approccio solleva preoccupazioni per gli EII a causa della sua imprevedibilità e delle potenziali implicazioni sui costi. Sono invece necessari forti investimenti pubblici nella modernizzazione della rete e nella generazione di energia a basse emissioni di carbonio e flessibile.
 

4. Nessuna riduzione generalizzata in nome della burocrazia
Siamo favorevoli all’accelerazione delle procedure di pianificazione e approvazione, soprattutto per i progetti di trasformazione. Le tecnologie digitali e l’eliminazione delle duplicazioni normative possono fornire un valido impulso in questa direzione. Tuttavia, una riduzione quantitativa generalizzata degli oneri amministrativi e dei requisiti normativi, senza una valutazione approfondita dei costi dell’assenza di regolamentazione, come proposto dal rapporto Draghi e da altri, è pericolosa. Regolamenti importanti per proteggere l’occupazione e l’ambiente non devono essere tagliati nel nome della “riduzione della burocrazia”. I sindacati temono che l’attuale approccio della Commissione europea ignori completamente il valore della regolamentazione. Le valutazioni d’impatto, i nuovi controlli sulla realtà e i dialoghi sull’attuazione devono urgentemente includere il valore della regolamentazione dal punto di vista dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente nelle analisi costi-benefici. La Commissione europea ribadisce sempre che i requisiti di rendicontazione necessari per raggiungere gli obiettivi politici non saranno ridotti. Tuttavia, il pacchetto Omnibus è un chiaro tentativo di deregolamentare e indebolire i diritti dei lavoratori e gli standard ambientali.
 

5. Posti di lavoro di qualità come obiettivo centrale della politica industriale e dei servizi dell’UE
La DGB e la CGIL ritengono che il rafforzamento e la creazione di posti di lavoro di qualità debbano essere l’obiettivo centrale della politica industriale e dei servizi dell’UE. A tal fine, i fondi dell’UE dovrebbero sempre essere collegati a criteri di qualità dei posti di lavoro, come la contrattazione collettiva, lo sviluppo della formazione, la sicurezza del lavoro e le strategie di qualificazione. Questo è l’unico modo per contribuire al mantenimento a lungo termine dei posti di lavoro legati agli accordi collettivi, indispensabili alla trasformazione per garantire una maggiore giustizia distributiva e l’accettazione della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.

Inoltre, una condizionalità del lavoro contribuirebbe in modo significativo all’attuazione della Direttiva UE sui salari minimi, al fine di raggiungere l’obiettivo dell’80% dei salari nazionali da essa stabilito. I pareri legali dimostrano che, contrariamente alle riserve legali spesso sollevate nel discorso politico, le condizionalità del lavoro non sono in contraddizione con le leggi nazionali o europee.

Pertanto, accogliamo con favore il fatto che il Clean Industrial Deal colleghi, per la prima volta, le condizionalità sociali ai finanziamenti pubblici e privati e alla contrattazione collettiva. Tuttavia, l’impegno rimane vago e non vincolante. La DGB e la CGIL invitano la Commissione ad applicare in modo coerente la condizionalità sociale in tutte le misure politiche pertinenti, come gli aiuti di Stato e gli appalti. È, inoltre, urgente adottare una direttiva sulla giusta transizione, che imponga la consultazione dei lavoratori e preveda tutele vincolanti per l’anticipazione e la gestione del cambiamento.

Caro Vicepresidente, la trasformazione dell’industria europea offre un’opportunità storica per coniugare sostenibilità ambientale e giustizia sociale. Chiediamo alla Commissione europea di avviare una politica industriale e di investimenti ambiziosa, che ci conduca a un futuro di successo, basata su posti di lavoro di qualità e giustizia sociale.

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Cordiali saluti,

Stefan Körzell
Membro del Comitato esecutivo
Confederazione Tedesca dei Sindacati

Giuseppe Gesmundo
Segretario confederale
Confederazione Generale Italiana del Lavoro



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