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Ristrutturazione del Debito Aziendale: Come Funziona e Cosa Fare con l’Avvocato


Introduzione alla ristrutturazione del debito aziendale

La ristrutturazione del debito aziendale consiste in un insieme di strategie e procedure volte a riorganizzare e alleviare il peso dei debiti di un’impresa in crisi, con l’obiettivo di ripristinarne l’equilibrio finanziario e assicurare la continuità operativa. Si tratta di un tema di cruciale importanza nel contesto economico odierno, dove molte aziende si trovano ad affrontare difficoltà finanziarie a causa di condizioni di mercato sfavorevoli, cali di fatturato o errori gestionali. I dati più recenti mostrano un aumento delle imprese costrette a ricorrere a procedure concorsuali: ad esempio, nel primo trimestre 2024 in Italia si sono registrate oltre 2.100 liquidazioni giudiziali (+12,6% rispetto all’anno precedente). Questa tendenza evidenzia la necessità di interventi tempestivi per evitare esiti distruttivi come il fallimento e salvaguardare il valore aziendale..

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Fortunatamente, l’ordinamento giuridico mette a disposizione degli imprenditori diversi strumenti per affrontare la crisi prima di arrivare alla liquidazione. Negli ultimi anni, il legislatore italiano ha posto un nuovo accento sulla prevenzione e sul risanamento: il tradizionale “fallimento” è stato concettualmente superato dall’idea di liquidazione giudiziale quale ultima ratio, mentre si privilegia l’accesso a procedure di ristrutturazione e composizione della crisi​. L’obiettivo è di offrire all’impresa sana, ma temporaneamente in difficoltà, la possibilità di rinegoziare i propri debiti e riequilibrare la situazione finanziaria, garantendo al contempo la tutela dei creditori e la continuità dell’attività. In questa guida approfondiremo i vari aspetti della ristrutturazione del debito aziendale dal punto di vista giuridico e pratico, illustrando i concetti fondamentali, le motivazioni che spingono a ristrutturare, le modalità operative disponibili e il ruolo essenziale svolto dall’avvocato in questo processo. L’approccio sarà sia teorico-legale sia orientato alla pratica, in modo da fornire agli imprenditori una panoramica completa su come funziona la ristrutturazione del debito e cosa fare, passo dopo passo, per gestire al meglio una situazione di crisi con l’assistenza di un professionista legale specializzato.

Ma andiamo ora ad approfondire con Studio Monardo, gli avvocati esperti in ristrutturazione del debito aziendale:

I Concetti giuridici fondamentali Riguardo La Ristrutturazione del Debito Aziendale

Prima di esaminare le modalità di ristrutturazione del debito, è utile chiarire alcuni concetti giuridici di base relativi alla crisi d’impresa e alle procedure ad essa collegate. In Italia, si distingue anzitutto tra stato di crisi e stato di insolvenza: la crisi è una situazione di difficoltà economico-finanziaria tale da rendere probabile l’insolvenza futura del debitore, mentre l’insolvenza è la condizione più grave in cui il debitore non è più in grado di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni (cessazione dei pagamenti)​. Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, in vigore dal 2022) fornisce queste definizioni e spinge gli imprenditori ad attivarsi già allo stadio di crisi per evitare che evolva in insolvenza conclamata.

Un altro concetto chiave è quello di procedura concorsuale: si tratta di un procedimento giudiziario collettivo in cui vengono regolati i rapporti tra l’impresa in crisi e tutti i suoi creditori in modo unitario, sotto la supervisione di un’autorità giudiziaria. Esempi di procedure concorsuali sono il concordato preventivo e (in caso di esito negativo del risanamento) la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento). Contrariamente, quando parliamo di soluzioni stragiudiziali o extragiudiziali, ci riferiamo a accordi e piani di risanamento raggiunti senza l’intervento diretto del tribunale: essi si basano essenzialmente sulla contrattazione privata tra debitore e creditori. Questi accordi privati possono tuttavia interagire con l’ordinamento giuridico, ad esempio beneficiando di tutele specifiche se rispettano determinati requisiti di legge (come vedremo per il piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII).

È importante comprendere la differenza tra le varie categorie di creditori. Alcuni creditori godono di privilegi o garanzie reali (si pensi a una banca con ipoteca su un immobile aziendale, o allo Stato per i crediti fiscali privilegiati): costoro hanno diritto ad essere soddisfatti con precedenza sui beni del debitore rispetto ai creditori chirografari (privi di garanzie). Nelle procedure concorsuali formali vige il principio della par condicio creditorum, secondo cui i creditori di pari grado (ad esempio tutti i chirografari) devono ricevere trattamenti proporzionalmente uguali, salvo diverso accordo votato o diverso rango di privilegio stabilito dalla legge. Ciò significa che, ad esempio, in un concordato preventivo non si può favorire arbitrariamente un creditore chirografario rispetto a un altro, a meno che ciò avvenga nell’ambito di un piano approvato regolarmente con le maggioranze di legge. In ambito stragiudiziale, invece, l’imprenditore ha maggiore libertà di trattare diversamente i creditori (purché costoro acconsentano individualmente), proprio perché fuori dal procedimento concorsuale non si applica rigidamente la par condicio​studiopanato.it. Questa flessibilità è un’arma a doppio taglio: permette soluzioni su misura con singoli creditori, ma espone al rischio che creditori non coinvolti possano agire separatamente per tutelare i propri interessi.

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Un elemento essenziale nei processi di ristrutturazione del debito è la figura dell’attestatore o professionista indipendente. La legge richiede, per taluni strumenti di risanamento (piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordati), che un esperto terzo verifichi i dati aziendali e attesti la fattibilità del piano di risanamento proposto. Questa attestazione serve a dare credibilità e trasparenza al piano verso i creditori e verso il tribunale, certificando che le informazioni fornite dall’azienda sono veritiere e che le previsioni di ripagamento dei debiti sono realistiche. Senza una relazione di attestazione positiva, un piano di ristrutturazione formale non può procedere.

Dal punto di vista soggettivo, va ricordato che non tutte le imprese possono accedere alle medesime procedure. Le soluzioni come il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione sono riservate ai cosiddetti imprenditori fallibili, ovvero a quelle imprese commerciali che superano determinate soglie dimensionali (ricavi, attivo patrimoniale, debiti) stabilite dalla legge fallimentare​. Gli imprenditori di piccole dimensioni e alcuni settori particolari (ad esempio l’imprenditore agricolo) sono esclusi dalle procedure concorsuali ordinarie e possono invece avvalersi della normativa sul sovraindebitamento (Legge 3/2012, ora integrata nel Codice della Crisi), che prevede strumenti ad hoc come gli accordi o piani del consumatore. In questa guida ci focalizzeremo sulle procedure tipiche delle imprese di medio-grandi dimensioni, ferma restando l’esistenza di percorsi specifici per le micro-imprese.

Infine, è opportuno menzionare i doveri degli organi societari in situazioni di difficoltà. Gli amministratori hanno l’obbligo legale di monitorare costantemente la situazione finanziaria e patrimoniale della società e di rilevare per tempo i segnali di crisi. Dal 2019 il Codice della Crisi impone all’imprenditore collettivo di adottare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, funzionali alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale​. Ciò significa che vi è una responsabilità nel non ignorare i sintomi di difficoltà: se l’imprenditore non si attiva senza indugio per adottare e attuare uno strumento di risanamento quando la situazione lo richiede, può andare incontro a responsabilità verso i creditori per aggravamento del dissesto. In sintesi, il quadro normativo attuale incoraggia un intervento precoce e competente sulla crisi, utilizzando gli strumenti di ristrutturazione del debito disponibili prima che la situazione degeneri in modo irreversibile.

Motivazioni principali per ristrutturare il debito aziendale

Perché un imprenditore dovrebbe intraprendere un percorso di ristrutturazione del debito? Le ragioni possono essere molteplici e spesso interconnesse. Tra le principali motivazioni si evidenziano:

  • Salvataggio dell’impresa: la ristrutturazione del debito offre all’azienda la possibilità di evitare il fallimento (bancarotta) e di continuare ad operare come attività economica. Ciò consente di preservare il valore avviamento, mantenere i posti di lavoro e proseguire la generazione di reddito ​invece di disperdere il patrimonio aziendale in una liquidazione forzata.
  • Soddisfazione (parziale) dei creditori: attraverso accordi negoziati, i creditori possono recuperare in tutto o in parte i propri crediti, magari accettando di essere pagati in un periodo più lungo o a condizioni diverse. Questo spesso è preferibile, dal loro punto di vista, al dover insinuarsi in un fallimento dove il rischio di non vedere nulla è elevato. Una ristrutturazione ben congegnata può dunque evitare ai creditori la perdita totale dei loro crediti e, anzi, gettare le basi per rapporti più costruttivi e continuativi tra impresa e creditori in futuro.
  • Risanamento finanziario e rilancio: ristrutturare il debito significa anche alleggerire il peso degli oneri finanziari sull’impresa, dandole respiro per tornare in equilibrio. Ciò può comportare, ad esempio, la riduzione dell’esposizione debitoria (tramite stralcio di una parte dei debiti), la diminuzione degli interessi passivi o una rischedulazione delle scadenze più sostenibile. Contestualmente, l’impresa può predisporre un piano industriale di rilancio: investire in aree strategiche, cedere rami d’azienda non redditizi e magari attirare nuovi soci o finanziatori. In sintesi, la ristrutturazione consente di sviluppare un piano finanziario sostenibile per il futuro, riducendo l’indebitamento a un livello gestibile​ e creando le premesse per il ritorno alla redditività.
  • Continuità operativa e tutela dell’occupazione: mantenere in vita l’attività aziendale è fondamentale non solo per l’imprenditore ma anche per i dipendenti, i fornitori e l’indotto. La chiusura improvvisa di un’azienda comporta costi sociali elevati e la dispersione di competenze e di rapporti commerciali costruiti nel tempo. Una procedura di ristrutturazione del debito ha proprio lo scopo di preservare la continuità aziendale, evitando l’interruzione della produzione o dei servizi​. In tal modo si salvaguardano i posti di lavoro e si evita di interrompere bruscamente contratti con clienti e fornitori, con beneficio per l’intero ecosistema economico attorno all’impresa.
  • Protezione del patrimonio personale del titolare: spesso gli imprenditori hanno fornito garanzie personali (fideiussioni) a fronte dei debiti aziendali, soprattutto verso le banche. Se l’azienda fallisce, queste garanzie vengono escusse e il patrimonio personale dell’imprenditore (case, risparmi familiari) può essere aggredito dai creditori. Una ristrutturazione efficace del debito aziendale evita questo scenario: adempiendo, anche solo parzialmente, agli obblighi dell’impresa secondo un accordo negoziato, l’imprenditore può liberarsi dalle garanzie personali senza dover subire un tracollo finanziario individuale. In altre parole, salvare l’azienda spesso significa anche salvaguardare il patrimonio di chi l’ha fondata.

Modalità operative per la ristrutturazione del debito aziendale: Come Fare

Esistono diversi percorsi operativi che un’impresa può intraprendere per ristrutturare il proprio debito. Tali modalità si collocano lungo un continuum che va dalle soluzioni più informali e volontarie (ad esempio una negoziazione privata con i creditori) fino alle procedure formalizzate davanti all’autorità giudiziaria (come il concordato preventivo). La scelta dipende dalla gravità della crisi, dal numero e dall’atteggiamento dei creditori coinvolti, nonché dal tempo a disposizione e dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. Di seguito esaminiamo le principali modalità operative: la negoziazione diretta e gli accordi stragiudiziali, il piano attestato di risanamento, l’accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo. Ognuno di questi strumenti presenta caratteristiche, vantaggi e procedure specifiche.

Negoziazione diretta con i creditori

La negoziazione diretta è spesso il primo approccio tentato dall’imprenditore in difficoltà. Consiste nel dialogare individualmente con i propri creditori per rivedere le condizioni di pagamento dei debiti, senza attivare formalmente alcuna procedura legale. In pratica, l’azienda espone con trasparenza la propria situazione finanziaria ai creditori chiave (come banche, fornitori principali, locatori) e propone soluzioni come: una dilazione dei termini di pagamento, una temporanea sospensione delle rate (moratoria), la riduzione dei tassi di interesse o, in alcuni casi, uno stralcio parziale del debito (ad esempio offrire il pagamento di una percentuale a saldo e stralcio).

Questo approccio ha il pregio della flessibilità e della rapidità: tutto avviene su base volontaria e confidenziale, senza i tempi e le formalità del tribunale. Se i creditori hanno fiducia nelle prospettive di ripresa dell’azienda, spesso preferiscono accordarsi bonariamente piuttosto che avviare azioni legali costose e dall’esito incerto. Affinché la negoziazione privata abbia successo, è fondamentale che l’imprenditore adotti un atteggiamento proattivo e trasparente, fornendo ai creditori informazioni chiare sulla crisi e sulle misure che intende prendere per risanare l’impresa. Una comunicazione onesta e completa aumenta la credibilità dell’azienda e favorisce un clima di fiducia. Entrambe le parti devono agire secondo buona fede, cooperando lealmente e mantenendo la dovuta riservatezza sulle informazioni condivise​.

Va sottolineato che la negoziazione diretta non produce, di per sé, effetti giuridici vincolanti erga omnes: ogni accordo avrà forza solo tra l’azienda e il singolo creditore che lo accetta. Ciò significa che un creditore refrattario potrebbe comunque proseguire con azioni esecutive individuali (come pignoramenti) anche mentre l’azienda tratta con altri. Per questo motivo, la strategia di negoziazione privata funziona meglio quando il numero di creditori è limitato o quando si riesce ad ottenere rapidamente il consenso della larga maggioranza di essi, riducendo il rischio di iniziative ostili isolate.

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Negli ultimi anni, per facilitare le trattative con i creditori in una fase precoce della crisi, il legislatore ha introdotto uno strumento innovativo: la composizione negoziata della crisi. Si tratta di un procedimento volontario, introdotto nel 2021, in cui l’imprenditore in stato di crisi può richiedere l’affiancamento di un esperto indipendente nominato da un’apposita commissione, con il compito di agevolare le trattative con i creditori. La composizione negoziata è essenzialmente una cornice organizzata entro cui si svolge la negoziazione stragiudiziale: l’esperto aiuta a predisporre un piano di risanamento e convoca i creditori per trovare un accordo. Durante questo percorso, l’azienda può chiedere al tribunale misure protettive temporanee (ad esempio il blocco o la sospensione delle azioni esecutive dei creditori per la durata delle trattative), pur senza entrare in una procedura concorsuale vera e propria. Se le negoziazioni vanno a buon fine, si potrà formalizzare un accordo stragiudiziale oppure richiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione agevolato (vedi oltre) per dare maggiore efficacia all’intesa raggiunta. In caso contrario, la composizione negoziata può costituire un preludio al deposito di un concordato preventivo, evitando però nel frattempo il collasso immediato dell’impresa. In sintesi, questo strumento rappresenta una negoziazione assistita, che mantiene la volontarietà delle soluzioni concordate ma con alcune protezioni tipiche delle procedure formali.

Accordi stragiudiziali (accordi extra-giudiziali)

Quando le trattative dirette hanno successo con una pluralità di creditori, si concretizzano in accordi stragiudiziali di ristrutturazione. Un accordo stragiudiziale è essenzialmente un contratto o un insieme di contratti attraverso i quali il debitore e uno o più creditori modificano consensualmente le originarie obbligazioni. Ad esempio, l’azienda e un pool di banche possono sottoscrivere un accordo quadro in cui le banche si impegnano a non agire esecutivamente e a prorogare i finanziamenti in scadenza, a patto che l’azienda rispetti un certo piano di rimborso; oppure l’impresa può siglare intese bilaterali con ciascun fornitore per dilazionare i debiti commerciali su un orizzonte più lungo.

Tali accordi, non essendo omologati da un tribunale, hanno natura privatistica e la loro efficacia dipende dal consenso di ciascuna parte. Hanno il vantaggio di poter essere tagliati su misura delle parti coinvolte: non è necessario rispettare la parità di trattamento tra creditori estranei l’uno all’accordo dell’altro, né seguire formalismi particolari di legge​. Ciò consente ad esempio di offrire condizioni diverse a creditori differenti in base alle rispettive esigenze (si pensi ad un fornitore strategico che viene pagato prima per garantirsi la continuità nelle forniture, rispetto ad un creditore meno essenziale disposto ad attendere di più). Tuttavia, gli accordi stragiudiziali “puri” presentano anche dei limiti: non vincolano i creditori dissenzienti né impediscono loro di iniziare o proseguire azioni di recupero forzoso. Inoltre, qualora successivamente l’impresa dovesse comunque fallire, i pagamenti preferenziali effettuati in base a tali accordi potrebbero essere soggetti ad azione revocatoria fallimentare (essendo avvenuti al di fuori di una procedura concorsuale protetta).

Per mitigare questi rischi, è prassi spesso integrare l’accordo stragiudiziale in un piano di risanamento attestato (vedi oltre) oppure, se si raggiunge un quorum significativo di creditori aderenti, richiedere l’omologazione giudiziaria dell’accordo tramite lo strumento dell’art. 182-bis L.F./CCII (accordo di ristrutturazione). In mancanza di ciò, l’accordo stragiudiziale resta un patto privo di effetti coercitivi verso i terzi. Nonostante ciò, questo tipo di intesa privata è preziosa in situazioni in cui vi sia un numero ridotto di creditori e un alto grado di fiducia reciproca: ad esempio, nelle crisi aziendali in cui le banche principali sono poche e cooperative, un accordo stragiudiziale può risolvere la situazione senza clamore mediatico né costi procedurali.

Piano attestato di risanamento

Il piano attestato di risanamento è uno strumento previsto espressamente dalla legge (già art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, ora art. 56 del Codice della Crisi) che consente all’imprenditore in difficoltà di tentare il risanamento dell’impresa attraverso un piano meramente privato, purché accompagnato da una relazione di un esperto che ne attesti la fattibilità. La peculiarità del piano attestato è che consente di operare il risanamento al di fuori di una procedura concorsuale: non è necessaria né l’apertura formale di un procedimento giudiziario né l’omologazione del tribunale. Tuttavia, la legge riconosce a tale piano alcuni effetti protettivi, principalmente in termini di esenzione da successive azioni revocatorie fallimentari sugli atti compiuti in esecuzione del piano​. Ciò significa che, se il piano attestato ha successo e l’impresa si risana, bene; se invece il piano dovesse fallire e l’azienda venisse dichiarata insolvente, i pagamenti e le garanzie concesse durante l’esecuzione del piano attestato (ad esempio pagamenti parziali ai creditori, concessione di garanzie ai nuovi finanziatori, ecc.) non potranno essere annullati dal futuro curatore fallimentare, purché rispettassero i requisiti di legge.

Il piano attestato di risanamento è fondamentalmente un documento programmatico redatto dall’impresa (di solito con l’ausilio di consulenti finanziari e legali) che descrive in dettaglio le cause della crisi e le strategie di rilancio. Ad esempio, vi saranno analisi sulla situazione economico-patrimoniale attuale, un elenco completo dei creditori con l’indicazione di come si intende trattarli (chi viene pagato immediatamente, chi dilazionato, ecc.), le misure di riorganizzazione aziendale previste (taglio di costi, dismissione di asset non strategici, ricerca di nuovi apporti di capitale) e soprattutto la dimostrazione che, seguendo il piano, l’impresa tornerà solvibile entro un certo periodo​. La legge non impone un contenuto rigidamente predeterminato per il piano attestato, ma richiede che abbia data certa (ad esempio tramite asseverazione notarile o deposito) e che sia accompagnato dalla relazione del professionista indipendente. Non è nemmeno previsto un quorum minimo di creditori che devono aderire: il piano può essere anche unilateralmente predisposto dall’imprenditore, purché nella realtà per riuscire dovrà coinvolgere almeno i principali creditori in accordi individuali coerenti con il piano stesso. In pratica, spesso il piano attestato funge da framework generale entro cui l’azienda conduce poi le negoziazioni stragiudiziali con i creditori.

Un vantaggio importante del piano attestato è, come detto, la flessibilità: non essendo una procedura concorsuale, non richiede di coinvolgere tutti i creditori né di rispettare le rigidità della par condicio. L’imprenditore può decidere di pagare prima alcuni creditori ritenuti essenziali e posticipare altri, se ciò è funzionale al risanamento, senza incorrere in violazioni (cosa che invece non sarebbe possibile in un concordato salvo consenso delle classi di creditori)​. Inoltre, l’assenza di una procedura pubblica riduce il rischio di danneggiare la reputazione dell’impresa sul mercato: molti piani attestati vengono tenuti riservati e conosciuti solo dalle parti coinvolte. Di contro, lo svantaggio è che il piano attestato, in sé, non vincola legalmente i creditori: se un creditore decide di chiamarsi fuori e agire per conto proprio, il piano non può impedirglielo (a differenza di quanto accade in presenza di un accordo omologato o di un concordato, dove c’è una protezione generale). Dunque il successo di questo strumento dipende in larga misura dal consenso volontario e dalla pazienza dei creditori durante l’implementazione del piano.

 

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In sintesi, il piano attestato di risanamento è indicato quando l’imprenditore ritiene di poter risolvere la crisi senza coinvolgere tutti i creditori in maniera collettiva, ma avvalendosi della collaborazione di quelli più rilevanti. È adatto a situazioni in cui la crisi è ancora gestibile e non si è manifestata un’insolvenza generalizzata, e dove c’è un rapporto di fiducia con i creditori chiave. Naturalmente la predisposizione del piano e la sua attestazione richiedono il coinvolgimento di professionisti qualificati (advisor finanziari e un attestatore indipendente iscritto agli albi previsti), il che implica tempi e costi da considerare. Eppure, questi oneri possono valere la pena se permettono di evitare una procedura concorsuale ben più onerosa e incerta.

Accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis L.F. / Artt. 57-60 CCII)

L’accordo di ristrutturazione dei debiti è uno strumento di soluzione della crisi disciplinato dalla legge che si pone a metà strada tra il piano attestato (stragiudiziale puro) e il concordato preventivo (procedura concorsuale completa). In sostanza, si tratta di un accordo negoziato con i creditori che, però, viene sottoposto all’omologazione (approvazione) del Tribunale, acquisendo così efficacia vincolante anche nei confronti di eventuali creditori dissenzienti entro certi limiti. È previsto attualmente dall’art. 182-bis della vecchia Legge Fallimentare e dagli artt. 57 e seguenti del nuovo Codice della Crisi.

Per attivare un accordo di ristrutturazione, l’imprenditore deve trovarsi almeno in uno stato di crisi conclamata se non di vera e propria insolvenza, e deve aver già raggiunto un’intesa con una parte sostanziale dei propri creditori. La norma stabilisce infatti che l’accordo debba essere sottoscritto da creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali dell’impresa (nel regime attuale, parliamo di percentuale sul valore dei crediti). Questo implica un lavoro preparatorio di negoziazione bilaterale con i creditori per convincerne una larga maggioranza ad aderire ad un piano di ristrutturazione. Una volta raccolte le adesioni necessarie e predisposto un dettagliato piano, l’imprenditore presenta ricorso al tribunale per far omologare l’accordo. In sede di omologazione, il tribunale verifica essenzialmente la presenza dei requisiti di legge (percentuale di consensi, correttezza dell’informazione ai creditori, presenza della relazione del professionista attestatore sulla fattibilità del piano, ecc.) e che i creditori non aderenti siano integralmente soddisfatti nei termini di legge.

Già nella fase di presentazione della domanda di omologazione, l’impresa può chiedere al tribunale misure protettive analoghe a quelle del concordato (ad esempio la sospensione delle azioni esecutive da parte dei creditori estranei per un periodo limitato). Una volta omologato, l’accordo diviene efficace erga omnes: i creditori aderenti saranno vincolati alle nuove condizioni concordate (dilazioni, riduzioni, ecc.), mentre i creditori non aderenti – che rimangono estranei all’accordo – hanno diritto per legge di essere pagati integralmente alle loro scadenze originarie, ma subiscono una sorta di “moratoria” durante l’esecuzione del piano omologato​. In pratica, l’omologazione impedisce ai creditori estranei di precipitarsi immediatamente al recupero coatto, purché la proposta preveda il loro soddisfacimento regolare all’orizzonte previsto. L’accordo di ristrutturazione, dunque, non consente di imporre ai dissenzienti un sacrificio definitivo (come un taglio del credito), ma permette di guadagnare tempo e di blindare l’intesa raggiunta con la maggioranza, scongiurando iniziative individuali che possano far fallire il piano.

Le ultime riforme hanno introdotto varianti di questo istituto per renderlo più flessibile:

  • Accordo di ristrutturazione “agevolato”: è una versione semplificata in cui è sufficiente il consenso di creditori che rappresentino il 30% dei crediti​ (invece del 60%). Il vantaggio è la soglia di adesione più bassa; di contro, in questo caso la legge non concede alcuna moratoria o protezione automatica ai creditori non aderenti, i quali mantengono pieno diritto di azione (quindi l’efficacia dell’accordo agevolato dipende più strettamente dalla buona volontà dei non aderenti di non intralciare il piano).
  • Accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa: questa previsione consente, in determinati casi, di estendere gli effetti di un accordo omologato anche a creditori che non vi hanno aderito, purché appartengano a una categoria omogenea e qualificata. Ad esempio, se l’accordo è stato approvato da tutti (o dalla maggioranza qualificata) degli istituti finanziari creditori dell’impresa, l’imprenditore può chiedere che esso venga reso vincolante anche per le banche dissenzienti rimaste fuori, a condizione che fossero state informate delle trattative e abbiano avuto occasione di partecipare​. Questa estensione di efficacia mira a evitare che pochi creditori “holdout” (oppositori) possano vanificare lo sforzo concorde della maggioranza. Si tratta di una novità introdotta dal Codice della Crisi che rafforza lo strumento dell’accordo di ristrutturazione avvicinandolo, in parte, agli effetti di un concordato preventivo per specifiche classi di creditori.

Dal punto di vista pratico, l’accordo di ristrutturazione dei debiti richiede: un intenso lavoro di negoziazione preliminare, la predisposizione di un piano di risanamento completo (analogo a quello di un concordato, con dettagli su come verranno soddisfatti tutti i creditori, aderenti e non), la relazione di un attestatore indipendente e il passaggio giudiziario dell’omologazione. I tempi sono potenzialmente più rapidi di un concordato preventivo perché non è necessaria la votazione di tutti i creditori (si evita il commissario e l’adunanza, avendo già le firme della percentuale richiesta), ma occorre comunque convincere la soglia qualificata di creditori e superare eventuali opposizioni dei creditori esclusi in udienza di omologazione. Se qualche creditore non aderente ritiene che dall’accordo omologato derivi un pregiudizio ai suoi diritti (ad esempio contesta che il piano non garantisca il suo pagamento integrale), può proporre opposizione all’omologazione davanti al tribunale, il quale dovrà valutare questi aspetti prima di emanare il decreto di omologa.

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Concordato preventivo

Il concordato preventivo è la procedura concorsuale per eccellenza attraverso cui l’imprenditore insolvente tenta di evitare la liquidazione fallimentare, proponendo ai creditori un accordo di soddisfacimento parziale o dilazionato dei loro crediti. A differenza delle soluzioni fin qui illustrate, il concordato è un procedimento formalizzato e complesso, interamente gestito sotto l’egida del tribunale e con il coinvolgimento di tutti i creditori. In sostanza, l’imprenditore redige un piano concordatario in cui propone come intende pagare (in tutto o in parte) i propri debiti e con quali tempistiche, e questo piano viene sottoposto al voto dei creditori e all’approvazione del giudice.

Esistono varie forme di concordato preventivo, ma una distinzione fondamentale è tra:

  • Concordato in continuità aziendale: quando l’impresa chiede di poter proseguire la propria attività durante e dopo la procedura, utilizzando i ricavi futuri generati dall’operatività per pagare i creditori secondo il piano. Può includere anche la vendita di alcuni asset ma prevede che il complesso aziendale fondamentale resti in funzione (ad esempio, l’azienda continua a produrre e vendere beni/servizi durante il concordato). È la soluzione preferibile se l’impresa ha prospettive di redditività e si vuole preservare il valore aziendale come “business vivo”.
  • Concordato liquidatorio: quando invece si prevede la cessazione dell’attività e la liquidazione dei beni dell’impresa, distribuendone il ricavato ai creditori. In questo caso il concordato serve a evitare le lungaggini di un fallimento, consentendo di liquidare l’azienda in modo ordinato e sotto controllo del debitore stesso (spesso con l’apporto di un assuntore esterno che fornisce resorse da distribuire). Di solito, la legge richiede che in un concordato liquidatorio vi sia un apporto di risorse esterne tale da incrementare di almeno il 10% la soddisfazione dei creditori chirografari rispetto a quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale (criterio introdotto nel CCII), a garanzia che l’offerta sia migliorativa rispetto al mero fallimento.

Il procedimento di concordato preventivo si articola in varie fasi. L’imprenditore deve depositare un ricorso presso il tribunale competente, corredato dalla proposta di concordato, dal piano dettagliato e da una copiosa documentazione (bilanci, elenco dei creditori, inventario dei beni, attestazione di un esperto sulla fattibilità del piano, ecc.). È possibile, se l’azienda ha bisogno di tempo per predisporre il piano, presentare un ricorso cosiddetto “in bianco” o con riserva, contenente la sola domanda di concordato e la documentazione essenziale, rinviando di qualche mese la presentazione del piano definitivo: in tal modo, sin dal deposito della domanda il debitore ottiene misure protettive (lo “scudo” dalle azioni esecutive dei creditori) mentre completa l’elaborazione del piano​. Una volta depositato il piano, il tribunale valuta l’ammissibilità della proposta (controllo formale e di legalità) e, se positiva, ammette la società alla procedura di concordato, nominando un commissario giudiziale (un professionista indipendente che vigilerà sulla gestione corrente dell’impresa e riferirà ai creditori e al giudice).

Segue quindi la fase deliberativa: il piano e la proposta vengono comunicati a tutti i creditori, i quali hanno diritto di votare se accettare o meno la proposta concordataria. Spesso i creditori vengono suddivisi in classi secondo la loro posizione giuridica ed interessi economici (ad esempio una classe per le banche, una per i fornitori chirografari, una per eventuali creditori privilegiati disponibili a falcidia, ecc.). Per l’approvazione occorre il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto (calcolata in percentuale di valore); se vi sono classi, è necessario anche che la maggioranza delle classi approvi, altrimenti si può tentare l’omologazione nonostante il dissenso di una classe con meccanismi di cram-down previsti dalla legge, dimostrando che la classe dissenziente non riceverebbe trattamento migliore in caso di liquidazione alternativa.

Una volta ottenuto il voto favorevole (o comunque verificati i presupposti di legge), il tribunale passa alla fase di omologazione: emette un decreto che rende il concordato vincolante per tutti i creditori anteriori, anche per quelli che hanno votato contro o non si sono presentati. Da quel momento l’impresa deve eseguire il piano concordatario sotto la supervisione degli organi della procedura. Se il piano prevede la continuità, l’imprenditore (eventualmente coadiuvato dal commissario) prosegue nella gestione d’impresa e effettua i pagamenti ai creditori secondo le scadenze concordate; se prevede la liquidazione, si procederà alla vendita dei beni da parte di un liquidatore giudiziale nominato. A conclusione, quando l’impresa ha adempiuto per intero le obbligazioni promesse nel concordato, ottiene la liberazione dai debiti residui anteriori (cosiddetta esdebitazione concordataria). Diversamente, se la procedura concordataria fallisce (ad esempio perché l’impresa non riesce a rispettare i pagamenti), si aprirà la strada alla liquidazione giudiziale (ex fallimento).

Il concordato preventivo, essendo una procedura giudiziaria, offre importanti garanzie ed effetti legali:

  • Innanzitutto, sin dal deposito della domanda l’azienda può essere protetta dai creditori (tramite il provvedimento di sospensione delle azioni esecutive dei creditori), ottenendo quel “respiro” necessario a negoziare e attuare il piano senza la pressione di pignoramenti immediati.
  • In secondo luogo, l’omologazione rende la soluzione vincolante per tutti: i creditori perdono la facoltà di agire individualmente e devono accettare quanto stabilito nel concordato, anche se dissentono, nei limiti delle percentuali e delle modalità approvate dalla maggioranza. Questo permette di superare situazioni di stallo in cui uno o pochi creditori non collaborativi avrebbero impedito qualsiasi ristrutturazione extragiudiziale.
  • In terzo luogo, nel concordato è possibile incidere anche sui debiti pubblicistici (fiscali e previdenziali) mediante la cosiddetta transazione fiscale: l’Agenzia delle Entrate e gli enti previdenziali possono aderire al piano accettando un pagamento parziale delle imposte/contributi dovuti (cosa che al di fuori del concordato di norma non è consentita se non pagando integralmente, salvo rare eccezioni normative).
  • Infine, la procedura concorsuale sospende o risolve eventuali pignoramenti già in corso e concentra in un unico alveo tutte le pretese, portando ordine in una situazione caotica.

Di contro, il concordato ha degli svantaggi: è pubblico e spesso lungo e costoso. La reputazione dell’impresa può risentirne, poiché clienti e fornitori vengono a conoscenza della crisi; inoltre il controllo dell’imprenditore sulla gestione non è più pieno (egli opera sotto la vigilanza del commissario e con varie limitazioni sugli atti di straordinaria amministrazione). I costi professionali (commissario, attestatore, legali) e le spese di procedura sono importanti e godono di prededuzione (vanno pagati prima di tutto, gravando sull’attivo). Pertanto, il concordato va intrapreso quando è realmente necessario per salvare l’impresa e quando le altre soluzioni meno invasive non sono percorribili. In quelle circostanze, resta comunque uno strumento potente per evitare il default totale e cercare un recupero, parziale ma ordinato, dell’equilibrio finanziario aziendale​.

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Il ruolo dell’avvocato specializzato nella ristrutturazione del debito aziendale

Affrontare una ristrutturazione del debito aziendale è un processo complesso che coinvolge aspetti legali delicati: per questo motivo, la figura dell’avvocato specializzato in crisi d’impresa è cruciale in ogni fase. L’avvocato, agendo come consulente legale dell’imprenditore, svolge diversi ruoli chiave:

  • Analisi giuridica iniziale e scelta della strategia: il legale esamina la situazione debitoria e la gravità della crisi, consigliando l’imprenditore sulle opzioni percorribili (accordo stragiudiziale, piano attestato, concordato, ecc.) e illustrandone implicazioni e fattibilità. Grazie alla sua esperienza, l’avvocato è in grado di valutare i rischi legali di ciascun scenario e di individuare lo strumento più adatto per salvaguardare l’impresa.
  • Gestione delle trattative con i creditori: l’avvocato spesso funge da intermediario negoziale tra l’azienda e i creditori. Ciò significa che rappresenta l’imprenditore nelle trattative, conducendo le discussioni sui nuovi termini di pagamento, rispondendo alle obiezioni dei creditori e cercando soluzioni di compromesso accettabili. Un avvocato esperto sa come interfacciarsi con le banche e gli altri creditori istituzionali, parla il loro linguaggio tecnico-legale e può quindi facilitare il raggiungimento di un accordo.
  • Redazione degli accordi e dei documenti legali: qualunque sia la soluzione adottata, saranno necessari documenti giuridici accurati. L’avvocato si occupa di redigere o verificare tutti gli atti fondamentali: accordi di ristrutturazione, patti di moratoria, piani concordatari, ricorsi al tribunale, contratti con nuovi investitori, ecc. Il suo compito è assicurarsi che tali documenti tutelino al meglio l’impresa, rispettino la normativa vigente e siano redatti con la chiarezza necessaria per evitare future controversie.
  • Gestione della procedura legale: se si intraprende una procedura giudiziale (come l’omologazione di un accordo o un concordato preventivo), l’avvocato assume il ruolo di difensore tecnico dell’azienda in tribunale. Prepara e deposita il ricorso, interagisce con gli organi della procedura (giudice, commissario, attestatore), partecipa alle udienze e alle eventuali opposizioni o trattative in sede giudiziaria. In pratica, garantisce che tutti i passaggi formali siano eseguiti correttamente e nei termini di legge, evitando vizi procedurali che potrebbero compromettere l’esito.
  • Tutela della riservatezza e gestione delle informazioni: un avvocato esperto sa bilanciare il bisogno di riservatezza dell’azienda in crisi con il dovere di informare adeguatamente i terzi coinvolti. Da un lato protegge le informazioni sensibili dell’impresa (dati finanziari, segreti industriali) diffondendole solo nella misura strettamente necessaria e spesso facendo sottoscrivere accordi di riservatezza; dall’altro lato assicura che creditori e organi della procedura ricevano le informazioni rilevanti in modo completo e trasparente​, come richiesto dalla legge. Questa gestione calibrata della disclosure è fondamentale per non danneggiare la reputazione dell’impresa e al contempo rispettare i doveri di correttezza e completezza dell’informazione.
  • Coordinamento con altri professionisti: la ristrutturazione del debito richiede un approccio multidisciplinare. L’avvocato collabora strettamente con il commercialista dell’azienda, con consulenti finanziari e con l’attestatore nominato. Fornisce a questi esperti il supporto legale necessario (ad esempio preparando le relazioni da presentare in tribunale, o inquadrando giuridicamente determinate operazioni finanziarie previste dal piano) e si assicura che le varie iniziative procedano in modo coerente. Ad esempio, se il piano prevede la cessione di un ramo d’azienda, l’avvocato curerà gli aspetti contrattuali di tale cessione, allineandoli con gli obiettivi della ristrutturazione.
  • Salvaguardia degli interessi dell’imprenditore: un buon legale non pensa solo all’azienda come entità astratta, ma anche alla posizione del suo cliente-imprenditore. Ciò significa che presta attenzione a prevenire implicazioni personali negative: ad esempio, consiglia l’imprenditore su come evitare condotte che possano costituire reati fallimentari (dissipazione di beni, preferenze occulte a taluni creditori, ecc.), oppure su come gestire eventuali garanzie personali e responsabilità patrimoniali. Inoltre, l’avvocato si preoccupa di mettere l’imprenditore al riparo da possibili sanzioni derivanti dal nuovo Codice della Crisi, aiutandolo a ottemperare ai propri obblighi di attivazione tempestiva e di corretta gestione durante la crisi.
  • Monitoraggio e supporto nell’esecuzione del piano: il ruolo dell’avvocato non termina con la firma di un accordo o con l’omologazione di un concordato. Spesso egli continua ad assistere l’azienda nella fase di esecuzione, verificando che gli adempimenti giuridici vengano rispettati (ad esempio, che vengano effettuati gli atti richiesti dal tribunale, o che eventuali ipoteche vengano cancellate a seguito dei pagamenti). Se durante l’esecuzione del piano sorgono nuovi problemi o necessità di modifica, l’avvocato interviene per consigliare sulle soluzioni legali (come richiedere proroghe al tribunale, stipulare accordi integrativi con i creditori, ecc.). In sostanza, fornisce un accompagnamento legale continuo, assicurando che il percorso di risanamento non deragli per questioni tecnico-giuridiche.

In tutti questi ambiti, è evidente che l’avvocato specializzato in ristrutturazioni svolge un ruolo di advisor strategico oltre che di esperto legale. Egli porta una visione d’insieme, aiutando l’imprenditore a muoversi con sicurezza in un terreno minato di norme e procedure. Coinvolgere tempestivamente un avvocato in azienda, magari ancor prima che la crisi diventi acuta, può fare la differenza tra un’operazione di risanamento di successo e un tentativo tardivo destinato a fallire​.

Come scegliere il giusto avvocato per la ristrutturazione

La scelta dell’avvocato cui affidare la gestione di una crisi aziendale è di importanza fondamentale. Un professionista valido può aumentare sensibilmente le chance di successo della ristrutturazione, mentre un consulente inesperto o non specializzato potrebbe aggravare la situazione. Ecco alcuni criteri da considerare nella scelta del legale adatto:

  • Specializzazione in diritto fallimentare e della crisi d’impresa: assicurarsi che l’avvocato abbia una competenza specifica nel settore delle procedure concorsuali e delle ristrutturazioni aziendali. Questo ambito legale è molto specialistico: occorre conoscere normative come il Codice della Crisi, la vecchia legge fallimentare, la giurisprudenza in materia di concordati e accordi, ecc. Un avvocato generalista che si occupa saltuariamente di queste questioni potrebbe non avere la dimestichezza necessaria. Meglio dunque puntare su studi legali o singoli professionisti che abbiano un curriculum focalizzato sulla crisi d’impresa.
  • Esperienza comprovata in casi analoghi: l’esperienza pratica vale quanto (se non più) della teoria. È lecito chiedere all’avvocato quali casi simili ha seguito in passato: ad esempio se ha già gestito concordati preventivi, quanti accordi di ristrutturazione ha portato a omologa, se ha collaborato con procedure di sovraindebitamento per piccole imprese, ecc. Chiaramente non potrà fare nomi per riservatezza, ma dal modo in cui ne parla e dal numero di anni di attività nel settore si può capire se ha affrontato situazioni comparabili. Un professionista navigato saprà anticipare i problemi e muoversi con sicurezza.
  • Struttura e team di supporto: valutare se l’avvocato opera da solo o all’interno di uno studio con altri professionisti. Le ristrutturazioni complesse richiedono spesso un team multidisciplinare: potrebbe essere utile che l’avvocato possa contare su colleghi esperti in diritto societario, diritto tributario, lavoro, ecc., perché la crisi aziendale tocca diversi aspetti (si pensi, ad esempio, alla necessità di gestire esuberi di personale o contenziosi fiscali nel contesto del risanamento). Uno studio strutturato offre anche maggiori risorse in termini di tempo e organizzazione. Ciò non toglie che anche un singolo avvocato possa essere efficace, specie in casi meno complessi, purché abbia una buona rete di collaboratori esterni (notai, commercialisti, consulenti del lavoro) da coinvolgere all’occorrenza.
  • Capacità di comunicazione e doti negoziali: un buon avvocato deve saper comunicare chiaramente sia con il cliente sia con la controparte. Verificare se l’avvocato sa spiegare in modo comprensibile la strategia, i rischi e gli aspetti tecnici: la trasparenza comunicativa con l’imprenditore è fondamentale per un rapporto di fiducia. Al contempo, devono emergere le sue abilità negoziali: nella crisi d’impresa l’avvocato passerà molto tempo a trattare con i creditori, quindi servono diplomazia, fermezza, capacità di persuasione e anche creatività nel trovare soluzioni win-win. Si può sondare questo aspetto discutendo ipotesi di soluzione fin dal primo colloquio e valutando l’approccio che il legale propone.
  • Reputazione e referenze: se possibile, raccogliere feedback sull’avvocato da altre imprese o professionisti che lo conoscono. Una buona reputazione nell’ambiente (ad esempio tra curatori fallimentari, giudici delegati, banche) è un indicatore di affidabilità e competenza. Ci sono avvocati noti per essere particolarmente abili nei concordati, altri esperti in ristrutturazioni bancarie: informarsi, anche attraverso le associazioni di categoria o la rete dei commercialisti, può aiutare a individuare i profili migliori. Inoltre, la reputazione conta perché un avvocato stimato potrà avere maggior credito anche presso i creditori durante le trattative.
  • Empatia e fiducia personale: infine, non vanno trascurati gli aspetti umani. Una ristrutturazione del debito è un percorso stressante e delicato, in cui l’imprenditore deve poter collaborare a stretto contatto e con piena sincerità con il proprio legale. È importante scegliere un professionista con cui ci si sente a proprio agio, che ispiri fiducia e che dimostri sincero interesse per le sorti dell’azienda. L’avvocato dovrebbe ascoltare attentamente il racconto dell’imprenditore, comprenderne gli obiettivi e anche le preoccupazioni personali, instaurando un rapporto di alleanza. Se già dal primo incontro si percepisce poca attenzione o una comunicazione difficile, forse non è il consulente giusto su cui fare affidamento in un frangente così critico.

Investire tempo nella scelta accurata dell’avvocato è quindi fondamentale. Una volta selezionato il professionista, sarà utile confrontarsi con lui apertamente, fornendogli tutti i dati necessari e instaurando una collaborazione basata su trasparenza e gioco di squadra.

Come Ristrutturare Il Debito Aziendale Passo Passo

Vediamo ora, in termini pratici, quali sono le fasi da seguire per affrontare una ristrutturazione del debito aziendale. Ogni situazione avrà le sue peculiarità, ma in generale un percorso di risanamento si articola in una serie di passi sequenziali:

1. Analisi preliminare della situazione debitoria – In questa fase iniziale l’imprenditore deve fare una fotografia completa dello stato di salute finanziaria dell’azienda. Si raccolgono tutti i dati rilevanti: bilanci degli ultimi esercizi, situazione contabile aggiornata, elenco dettagliato dei debiti (con importi, scadenze, eventuali interessi di mora), elenco dei creditori e delle eventuali garanzie prestate. Viene valutata la liquidità disponibile, il flusso di cassa prospettico e il rapporto con le banche (fidi utilizzati, covenants violati, ecc.). Allo stesso tempo si analizzano le cause della crisi: calo di ricavi? Aumento dei costi? Problemi di incasso crediti? Solo comprendendo le radici del problema si potranno individuare le soluzioni appropriate. Questa fase serve anche a capire l’urgenza della situazione: se l’impresa è già insolvente (ad esempio saltano pagamenti importanti o vi sono decreti ingiuntivi in arrivo) occorrerà agire con estrema rapidità; se invece c’è ancora margine, si potrà pianificare con più calma.

2. Consultazione di professionisti esperti – Una volta riconosciuta la gravità della crisi, l’imprenditore saggio non procede da solo ma si affida subito a dei professionisti specializzati. Tipicamente sarà opportuno coinvolgere un avvocato esperto in crisi d’impresa (come discusso sopra) e un consulente aziendale/finanziario (spesso il proprio commercialista se ha competenze di risanamento, o un advisor esterno). L’obiettivo è formare un team che guidi l’azienda nella crisi. Nelle situazioni più complesse potrebbe aggiungersi un consulente del lavoro (se si prevedono esuberi di personale) o un esperto di turnaround management. Già in questa fase, con l’aiuto dei consulenti, si prende una decisione strategica cruciale: scegliere quale percorso di ristrutturazione intraprendere (ad esempio tentare prima una strada stragiudiziale oppure procedere immediatamente con un concordato preventivo in bianco per bloccare i creditori). Questa scelta dipende dall’analisi fatta al passo 1 e va ponderata con il parere degli esperti, valutando pro e contro di ogni opzione.

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3. Predisposizione di un piano di risanamento e scelta dello strumento – Definita la strategia generale, si passa alla pianificazione dettagliata del risanamento. In pratica si redige un piano industriale e finanziario pluriennale che mostri come l’azienda potrà tornare redditizia e in grado di pagare i debiti secondo nuovi termini. Questo piano includerà azioni come: taglio dei costi operativi, dismissione di attività non core, sviluppo di nuovi prodotti o mercati, eventuale iniezione di capitali da parte dei soci o di investitori terzi, ecc., oltre naturalmente alla proposta di ristrutturazione dei debiti (quanto verrà pagato a ciascuno e quando). Parallelamente, si decide lo strumento legale tramite cui attuare il piano: se si punta su un accordo extragiudiziale, il piano sarà formalizzato come piano attestato di risanamento o come proposta da presentare ai creditori; se si opta per un concordato, il piano costituirà l’ossatura della proposta concordataria; se un accordo 182-bis, verrà preparato in funzione dell’omologazione. In questa fase è spesso necessario nominare un attestatore indipendente, ossia un professionista (commercialista o revisore) incaricato di redigere la relazione di attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. La nomina può avvenire da parte dell’impresa stessa (per piani attestati e accordi stragiudiziali) o tramite il tribunale (in caso di concordato, l’attestatore è scelto dall’azienda ma deve essere indipendente e rispondere ai requisiti di legge). La preparazione del piano e della relazione richiede un intenso lavoro di squadra tra imprenditore, consulenti e attestatore, e può durare da qualche settimana a diversi mesi a seconda della complessità.

4. Negoziazione con i creditori – Una volta delineato un piano credibile, si avvia la fase negoziale vera e propria con i creditori. Se la scelta è stata di procedere in via stragiudiziale, l’avvocato (assieme all’imprenditore) contatta i principali creditori – in primis le banche e i fornitori più grandi – per presentare la proposta di ristrutturazione. È importante saper comunicare efficacemente: occorre spiegare ai creditori che l’adesione al piano conviene anche a loro (ad esempio, perché in caso di fallimento recupererebbero percentuali minori). Si possono organizzare incontri individuali o plenari con i creditori, magari coinvolgendo l’attestatore affinché illustri i punti salienti della propria relazione indipendente, dando conforto sulla sostenibilità del piano. Questa fase può richiedere capacità diplomatiche notevoli, perché ogni creditore ha le sue priorità (una banca potrebbe chiedere ulteriori garanzie per aderire, un fornitore potrebbe volere assicurazioni sulla continuità degli ordini futuri, ecc.). Sarà compito dell’imprenditore e dei suoi consulenti trovare compromessi accettabili senza snaturare l’equilibrio del piano. In caso di procedura giudiziale, la “negoziazione” assume forme diverse: nel concordato preventivo non c’è una trattativa diretta obbligatoria con i creditori prima del deposito (anche se è spesso opportuno sondare informalmente il terreno); nell’accordo di ristrutturazione ex 182-bis, invece, bisogna proprio ottenere le firme del 60% dei crediti prima di andare in tribunale, quindi qui la negoziazione è sostanzialmente identica a quella stragiudiziale, solo con l’obiettivo di raggiungere quella maggioranza qualificata.

5. Formalizzazione dell’accordo o avvio della procedura – Raggiunto un accordo di massima con i creditori, esso va formalizzato per iscritto. Se si è seguita la via extragiudiziale, questo significa predisporre uno ou più documenti contrattuali: ad esempio, accordi bilaterali di ristrutturazione del debito con ciascun creditore, oppure un accordo plurilaterale unico firmato da tutti i creditori aderenti. In caso di piano attestato, spesso l’imprenditore redige un documento di piano finale (comprendente tutti i termini concordati) e lo allega alla relazione di attestazione, chiedendone eventualmente la pubblicazione presso il registro delle imprese per conferire data certa​. Se invece si percorre la strada concorsuale, in questo momento l’avvocato predispone e deposita in tribunale il ricorso per l’ammissione alla procedura: nel caso di accordo di ristrutturazione 182-bis, depositerà l’accordo sottoscritto dai creditori pari almeno al 60% dei debiti insieme alla domanda di omologazione; nel caso di concordato, depositerà la domanda di concordato preventivo (che, se “in bianco”, conterrà una richiesta di termine per depositare il piano definitivo). Unitamente al ricorso, è necessario depositare una serie di documenti obbligatori (elenco dei creditori e dei debiti, elenco dei beni, ultimi bilanci depositati, dichiarazioni fiscali recenti, relazione attestatore, etc.) secondo quanto prescrive la legge​. La formalizzazione segna il passaggio dalla fase negoziale informale a quella dell’esecuzione controllata dell’accordo.

6. Omologazione giudiziale (se prevista) – Questo passo si applica alle ipotesi in cui interviene il tribunale: accordo di ristrutturazione e concordato. Nel caso dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il tribunale, verificata la regolarità della documentazione, fissa un’udienza per decidere sull’omologa. I creditori estranei all’accordo possono presentare opposizione se ritengono di essere pregiudicati. Il giudice valuterà tali eventuali opposizioni e la fattibilità del piano, quindi emetterà il decreto di omologazione che rende l’accordo efficace verso tutti. Nel concordato preventivo, dopo il deposito segue la fase di ammissione, comunicazione ai creditori e voto: tutte attività che si svolgono sotto l’egida del tribunale e del commissario giudiziale. Se i creditori approvano la proposta (raggiungendo le maggioranze di legge) o anche in caso di dissenso di qualche classe ma con requisiti per forzare l’omologa, si tiene l’udienza di omologazione dinanzi al tribunale fallimentare. Anche qui eventuali creditori dissenzienti possono opporsi contestando la legittimità del concordato. Se il tribunale ritiene che tutto sia in regola – ad esempio che ai creditori dissenzienti sia garantito almeno quanto otterrebbero dalla liquidazione alternativa – emette la sentenza (o decreto) di omologazione del concordato. L’effetto dell’omologa è fondamentale: l’accordo o il piano concordatario diventano definitivi e vincolanti per tutti i creditori anteriori, sostituendosi alle originarie obbligazioni. D’ora in poi il debitore dovrà adempiere esclusivamente a quanto previsto dal piano omologato.

7. Attuazione del piano e monitoraggio – Dopo eventuale omologa (o subito, in caso di accordo stragiudiziale puro), si passa alla fase di esecuzione del piano di ristrutturazione. L’impresa, uscita dalla fase acuta di crisi, deve ora rispettare puntualmente gli impegni presi verso i creditori: pagare le rate concordate, eventualmente vendere i beni che nel piano si era previsto di alienare per fare cassa, e così via. È essenziale predisporre un sistema di monitoraggio interno dei progressi: spesso l’attestatore o il professionista che ha aiutato a formulare il piano rimane coinvolto come supervisore, redigendo report periodici sullo stato di avanzamento (specialmente nei concordati, il commissario giudiziale può essere confermato come commissario per la fase esecutiva). In caso di scostamenti significativi (ad esempio l’andamento dell’azienda non genera la liquidità attesa), il management deve attivarsi prontamente per apportare misure correttive, come previsto in molti piani ben fatti. Da un punto di vista giuridico, durante l’esecuzione del piano omologato i creditori anteriori non possono intraprendere azioni esecutive individuali (sono vincolati dall’accordo). Tuttavia, se l’impresa inadempie agli obblighi del piano in modo sostanziale e non si trova un correttivo, i creditori potranno chiedere la risoluzione giudiziale dell’accordo o la revoca del concordato, riaprendo di fatto lo scenario di fallimento. Pertanto l’esecuzione va seguita con estrema attenzione e disciplina.

8. Conclusione della ristrutturazione – Se l’azienda riesce a portare a termine tutte le azioni previste e a pagare quanto stabilito, la ristrutturazione del debito può considerarsi conclusa con successo. Nel caso di concordato preventivo, il tribunale dichiara l’adempimento e l’impresa ottiene l’esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti pregressi non soddisfatti nel piano. Nel caso di accordo omologato, analogamente, i crediti dei partecipanti si intendono estinti o modificati secondo l’accordo eseguito, e l’impresa esce dallo stato di crisi. Anche un accordo stragiudiziale, a fine percorso, vedrà l’azienda tornare in bonis (solvibile) avendo pagato i debiti rinegoziati. A questo punto l’impresa può dirsi risanata. È comunque buona norma, a conclusione della ristrutturazione, fare un debrief con i consulenti: analizzare le lezioni apprese, consolidare le nuove prassi gestionali introdotte e mantenere alta l’attenzione sugli indicatori finanziari, per evitare di ricadere in situazioni di indebitamento eccessivo in futuro.

Quale documentazione è necessaria per la ristrutturazione del debito aziendale

Un’efficace ristrutturazione del debito richiede una raccolta approfondita di documentazione aziendale, sia per uso interno (analisi e predisposizione del piano) sia per uso esterno (presentazione a creditori o al tribunale). Di seguito elenchiamo i documenti più rilevanti che tipicamente risultano necessari:

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

  • Situazione contabile aggiornata: è fondamentale disporre di un bilancio infrannuale o di una situazione patrimoniale aggiornata al momento in cui si avvia la ristrutturazione. Questo include uno stato patrimoniale e un conto economico recenti, con dettaglio di tutte le poste attive e passive, e l’indicazione della posizione finanziaria netta (debiti finanziari al netto di cassa e crediti a breve).
  • Bilanci degli ultimi esercizi: normalmente vengono richiesti gli ultimi tre bilanci d’esercizio depositati (completi di nota integrativa e relazioni del revisore/sindaco, se presenti)​. Questi servono a dare evidenza storica dell’andamento dell’azienda e sono utili per i creditori e per l’attestatore nel valutare la sostenibilità del piano.
  • Dichiarazioni fiscali recenti: in ambito concorsuale la legge prevede espressamente il deposito delle dichiarazioni IVA e delle dichiarazioni dei redditi (o IRAP) più recenti​. Ciò permette di verificare l’ammontare di eventuali debiti tributari e contributivi e di confrontare i dati di bilancio con quelli fiscali.
  • Elenco dei creditori e dei debiti: è un documento cruciale in cui l’azienda elenca nominativamente tutti i creditori, suddivisi per categoria (banche, fornitori, Erario, dipendenti, ecc.), indicando per ciascuno l’importo dovuto, la natura del credito (chirografario o assistito da garanzie, o privilegiato per legge), la data di scadenza (se il debito è già esigibile o meno) e l’eventuale presenza di contestazioni o cause legali in corso relative a quel credito. Questo elenco deve essere il più accurato possibile, perché sarà la base su cui costruire il piano di ristrutturazione e, se si va in tribunale, costituirà l’oggetto di verifica per l’ammissione della procedura.
  • Elenco dei beni aziendali: anch’esso richiesto per le procedure formali, comprende l’inventario di tutti i beni di proprietà dell’impresa (immobili, macchinari, veicoli, merci in magazzino, crediti verso clienti, partecipazioni, ecc.) con il rispettivo valore di stima. Eventualmente andrebbero allegate perizie di stima per gli asset di valore significativo, specie se il piano prevede di vendere alcuni beni per pagare i creditori (in tal caso i creditori e il tribunale vorranno capire quanto realisticamente si potrà ricavare da tali cessioni).
  • Piano di risanamento: naturalmente, va messo per iscritto il piano industriale e finanziario di cui si è discusso, con i dettagli delle azioni previste e le proiezioni economico-finanziarie a medio termine. Questo documento sarà allegato all’accordo stragiudiziale o alla domanda di concordato/omologazione e costituisce il “cuore” della proposta all’attenzione dei creditori.
  • Relazione dell’attestatore indipendente: per piano attestato, accordo ex 182-bis e concordato, è obbligatoria. Si tratta della relazione firmata dal professionista incaricato (ai sensi di legge) che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano presentato. Essa deve essere predisposta secondo i criteri stabiliti (ad esempio facendo stress test sulle assunzioni del piano, verificando la completezza dell’elenco creditori, ecc.) e va allegata agli atti. Senza la relazione di un attestatore iscritto all’albo ministeriale, il tribunale non ammetterà né omologherà la procedura.
  • Ulteriore documentazione legale: qui rientrano diversi atti societari e certificati. Per esempio, è spesso richiesta una dichiarazione dell’organo amministrativo che riepiloga le cause della crisi e attesta di non aver già fatto ricorso ad altri procedimenti di composizione della crisi nei cinque anni precedenti. Servono poi i certificati camerali aggiornati, eventuali certificati relativi ai carichi pendenti tributari e previdenziali, l’elenco di eventuali procedimenti giudiziari in corso (cause attive e passive). Inoltre, è opportuno predisporre le delibere del Consiglio di Amministrazione (o dell’assemblea dei soci, se richiesto dallo statuto) che approvano il piano di risanamento e ne autorizzano la presentazione in tribunale, così da dimostrare che la società ha assunto regolarmente la decisione di intraprendere la ristrutturazione.

Questa documentazione, sebbene possa sembrare onerosa da raccogliere, è indispensabile per dare credibilità e concretezza al tentativo di risanamento. Un dossier completo di informazioni riduce le incertezze e facilita sia il lavoro dei consulenti (nel predisporre un piano realistico) sia il confronto con i creditori e il giudice, che avranno elementi oggettivi su cui basare le proprie valutazioni.

Gli Errori da evitare nella ristrutturazione del debito aziendale

Nel percorso di ristrutturazione del debito vi sono alcuni errori comuni che è bene evitare accuratamente, in quanto potrebbero compromettere le chances di successo del risanamento o addirittura aggravare il dissesto. Ecco i principali errori da non commettere:

  • Procrastinare l’intervento sulla crisi: il tempo è un fattore critico. Uno degli sbagli peggiori è rimandare l’adozione di misure, sperando che la situazione si risolva da sola. In realtà, una crisi finanziaria non scompare magicamente; al contrario, più passa il tempo e più la situazione peggiora: i debiti aumentano per effetto di interessi moratori e spese legali, i creditori si fanno più aggressivi, e il rischio finale è di perdere il controllo sia dell’azienda sia del proprio patrimonio personal】. Agire tempestivamente consente invece di avere più opzioni a disposizione e di contenere i danni.
  • Affidarsi a consulenti non specializzati (o fare da sé): gestire una ristrutturazione senza la guida di professionisti esperti è molto rischioso. Molti imprenditori, di fronte alla crisi, per risparmiare costi si rivolgono magari al proprio commercialista abituato solo alla gestione ordinaria, oppure a un avvocato di famiglia che però non ha esperienza in materia di insolvenza. Altri, peggio, provano a negoziare da soli con le banche in modo improvvisato. Questi approcci dilettantistici spesso falliscono o portano ad accordi squilibrati a sfavore dell’azienda. È essenziale invece coinvolgere fin da subito consulenti specializzati: i loro compensi saranno ampiamente giustificati dall’aumento di probabilità di riuscita del risanamento.
  • Fornire informazioni incomplete o fuorvianti: la trasparenza è fondamentale nei confronti di consulenti, creditori e tribunale. Cercare di “abbellire” la realtà, nascondere certi debiti o gonfiare dati di bilancio per far apparire il piano più solido può portare a esiti disastrosi. I creditori, prima o poi, scopriranno la verità (magari incrociando dati da fonti pubbliche) e a quel punto perderanno ogni fiducia nell’imprenditore. Inoltre, un attestatore o un giudice che riscontri incongruenze sostanziali nei dati potrebbe rigettare la proposta. Dunque, evitare assolutamente di manipolare le informazioni: meglio presentare subito un quadro veritiero della crisi e poi costruire soluzioni realistiche, piuttosto che basarsi su numeri di fantasia.
  • Peggiorare la posizione di alcuni creditori con atti di favore verso altri: quando ci si avvicina all’insolvenza, può venire la tentazione di “salvare il salvabile” pagando magari quei fornitori con cui si hanno rapporti personali stretti o quelli che fanno più pressioni, trascurando gli altri. Oppure, ad esempio, restituire un prestito al familiare garante prima di tutto il resto. Queste scelte sono molto pericolose: in caso di successivo fallimento, i pagamenti preferenziali effettuati nell’ultimo periodo potrebbero essere revocati dal curatore, e l’imprenditore rischierebbe addirittura accuse di bancarotta preferenziale. Anche al di fuori del fallimento, i creditori esclusi da questi pagamenti “di favore”, appena lo scoprono, saranno molto meno propensi ad aderire a qualsiasi piano di ristrutturazione. La regola aurea è trattare tutti con equità nel contesto di un piano complessivo: se proprio è necessario privilegiare qualcuno per ragioni operative (es. un fornitore vitale), farlo sempre alla luce del sole, nell’ambito di un accordo generale e dichiarandolo apertamente nel piano.
  • Contrarre nuovi debiti senza una reale prospettiva di rimborso: un errore comprensibile ma spesso fatale è cercare di tamponare la crisi indebitandosi ulteriormente – ad esempio chiedendo nuovi finanziamenti bancari o dilazionando il pagamento di imposte e contributi – per ottenere liquidità immediata. Se questo avviene senza una strategia di rilancio credibile, si finisce in un circolo vizioso: nuovo debito che si aggiunge al vecchio, peggiorando la solvibilità. Prendere tempo può avere senso solo se c’è all’orizzonte un evento risolutivo (es. l’ingresso di un investitore, la vendita di un asset importante); altrimenti si rischia di aggravare il dissesto. Un caso particolare di questo errore è impegnare beni personali in ulteriori garanzie (es. ipotecare la casa per ottenere un prestito da immettere in azienda): è un passo da valutare con estrema cautela, perché mette a rischio anche il patrimonio familiare. Va fatto solo se inserito in un contesto di risanamento ben pianificato e se permette di evitare conseguenze peggiori, altrimenti è preferibile evitare di “giocarsi” beni personali nel tentativo disperato di rianimare l’impresa.
  • Eccessivo ottimismo nel piano di risanamento: un piano di ristrutturazione deve essere credibile e prudentemente realistico. Sovrastimare i ricavi futuri, sottostimare i costi o ipotizzare tempi troppo brevi per la ripresa può indurre i creditori ad accettare un accordo inizialmente, ma condanna l’azienda a fallire di nuovo poco dopo. Ad esempio, promettere di pagare rate mensili elevate confidando in entrate miracolose rischia di portare a un inevitabile default del piano. Questo errore spesso nasce dalla pressione di “far contenti i creditori” offrendo condizioni migliori di quelle sostenibili, ma è controproducente. Molto meglio negoziare margini di sicurezza nel piano (ad esempio rate un po’ più basse su un periodo più lungo, lasciando spazio a imprevisti), piuttosto che dipingere un quadro roseo destinato a smentirsi. L’attestatore ha il compito di frenare l’eccessivo ottimismo, ma la prima responsabilità è dell’imprenditore e dei suoi consulenti nel definire assunzioni ragionevoli.
  • Dimenticare i debiti verso il Fisco o altri creditori privilegiati: talvolta si costruiscono piani focalizzati sui fornitori e sulle banche, trascurando i crediti privilegiati – tipicamente quelli fiscali e previdenziali (IVA, ritenute, contributi) – che invece richiedono un’attenzione particolare. Ignorare questi debiti è molto pericoloso: l’Erario e gli enti previdenziali godono di tutele forti e, in un concordato, la loro soddisfazione deve rispettare requisiti stringenti (ad esempio, tendenzialmente integrale salvo transazione fiscale). Un piano che non preveda una soluzione credibile per i debiti fiscali e contributivi rischia di fallire, perché lo Stato può opporsi all’omologazione o comunque attivare procedure di recupero forzoso (come fermi amministrativi, ipoteche, pignoramenti tramite Agenzia delle Entrate-Riscossione). Quindi, vanno sempre coinvolti anche questi creditori privilegiati, eventualmente prevedendo il pagamento dilazionato integrale o accordi ad hoc (nei limiti consentiti), al fine di non lasciare “scoperta” proprio la parte più delicata del debito.

Perché Affidarsi a Studio Monardo per la Ristrutturazione del Debito Aziendale

Quando i debiti iniziano a soffocare la tua azienda, la ristrutturazione del debito è la soluzione più intelligente per evitare il fallimento e salvare il patrimonio aziendale e personale.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al tuo fianco un professionista esperto, capace di gestire la crisi con strategia, protezione legale e piani concreti di risanamento.

Un Esperto in Crisi d’Impresa e Diritto Bancario

L’Avvocato Monardo, coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti specializzati in diritto bancario, tributario e d’impresa, è il punto di riferimento ideale per chi:

  • Vuole riorganizzare i debiti bancari, fiscali e commerciali senza chiudere l’attività
  • Cerca un piano sostenibile di rientro con le banche, l’Agenzia delle Entrate e i fornitori
  • Intende tutelare la continuità aziendale, proteggendo nel contempo il patrimonio personale

Grazie alla sua esperienza, Monardo sa negoziare, strutturare e far approvare piani di ristrutturazione efficaci e legalmente protetti.

Come Ti Aiuta nella Ristrutturazione del Debito Aziendale

Con l’Avvocato Monardo al tuo fianco, potrai:

  • Analizzare il tuo indebitamento aziendale: debiti bancari, leasing, fornitori, Fisco, INPS
  • Costruire un piano di rientro realistico e sostenibile
  • Trattare con ogni creditore per ridurre, sospendere o rinegoziare i debiti
  • Accedere a procedure protette, come il concordato minore o l’accordo di composizione della crisi
  • Bloccare le azioni esecutive in corso, come pignoramenti o sequestri
  • Evitare la dichiarazione di insolvenza o il fallimento

Monardo seguirà ogni fase: dall’analisi iniziale alla presentazione del piano davanti al Tribunale o direttamente ai creditori.

Gestore della Crisi da Sovraindebitamento Iscritto al Ministero della Giustizia

Monardo è anche Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, ufficialmente iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia, e fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).
Grazie a questo ruolo:

  • Può attivare procedure semplificate e veloci per la ristrutturazione del debito aziendale
  • Garantisce protezione immediata contro le aggressioni dei creditori
  • Favorisce l’approvazione di piani che tutelano l’impresa e riducono il debito complessivo

Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa

Inoltre, Monardo ha conseguito l’abilitazione come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021).
Questo gli permette di:

  • Attivare percorsi di trattativa stragiudiziale protetta con i creditori
  • Evitare procedure concorsuali invasive come il fallimento o la liquidazione giudiziale
  • Trovare soluzioni rapide e meno costose per la continuità aziendale

Un percorso negoziale gestito da un esperto può salvare il valore dell’azienda, preservare posti di lavoro e ridurre drasticamente i debiti.

In conclusione

La ristrutturazione del debito aziendale non è solo una speranza: è un diritto che va costruito e difeso con competenza.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un professionista capace di negoziare con forza, costruire piani vincenti e proteggere il futuro della tua azienda e della tua famiglia.
Con Monardo, hai al tuo fianco un vero alleato per superare la crisi e tornare a crescere.

Qui di seguito tutti i contatti di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in ristrutturazione dei debiti aziendali:



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